I fiocchi venivano giù, stupiti anch’essi d’esser precipitati sulla terra in un giorno che non avrebbe mai potuto vedere la neve. Era il 5 agosto infatti, era notte e cadeva la neve sull’Esquilino. Ma nascosta dietro a quei fiocchi silenziosi v’era la Vergine Maria; aveva deciso infatti che era su quel colle di Roma che voleva le fosse dedicato un santuario. E lo comunicava con quanto di più le assomiglia, la neve candida. Così, da quel giorno, il 5 agosto è diventato una memoria di Maria carissima alla Chiesa, la Madonna della neve. E su quel Colle sorge ora una delle più belle Basiliche di Roma, la più antica in Occidente dedicata a Maria.
Molti secoli dopo, era un anno fa, appena superata la mezzanotte del 5 agosto, proprio Lei, la Fanciulla di Nazareth, è scesa qui sulla terra, come un fiocco di neve, pervenire a prendere un suo figlio dolcissimo, Felix Cordero. Glielo aveva promesso molti anni prima, così, semplicemente, nel bel mezzo di una preghiera sciolta in libertà mentre guidava. Ed è stata fedele.
Felix era in missione con Maite, sua sposa, e dieci figli, in Giappone da sedici anni. Non pochi. Li aveva inviati il Papa Grande, Giovanni Paolo II, in una tenda adagiata su una collina che guarda l’Adriatico, quasi all’ombra della Santa Casa di Loreto, l’umile dimora di Gesù, Giuseppe e Maria. Era la festa della Santa Famiglia del 1988. In quella tenda, ricevendo il crocifisso dalla mani del Papa, Felix e la sua famiglia diventavano una “famiglia in missione”, immagine della “Trinità in missione”, come l’aveva chiamata Giovanni Paolo II. Così, all’ombra della Santa Famiglia, Felix partiva con la sua famiglia per un Paese sconosciuto, senza sapere la lingua, senza una lira in tasca, stringendo tra le mani la Croce del Signore e portando nel cuore la benedizione inossidabile del Papa missionario. Qualcosa di grande li attendeva in Giappone, un’avventura che a raccontarla non basterebbe il tempo. Sì, perchè ogni giorno, che dico, ogni istante di ogni giorno di missione è stato un miracolo, come un fiocco di neve nel bel mezzo d’una notte d’agosto.
Il Signore lo aveva preparato a lungo, s’era fatto conoscere attraverso il Cammino Neocatecumenale, con Maite avevano sperimentato più volte la presenza e la misericordia di Dio. La Parola e l’Eucaristia, celebrate ogni settimana nella propria comunità di Madrid, li aveva nutriti di quel pane che non perisce, l’unica verità per la quale valga la pena perdere la vita. L’esperienza consolidata di un amore infinito che si fa possibile ogni giorno nel matrimonio, nel lavoro, nella comunità fatta di concretissimi fratelli con i quali ti trovi a contatto settimana dopo settimana, questa è stata la seria formazione ricevuta. E la chiamata sentita dentro, al fondo del cuore, vivendo nel cuore della Chiesa. Una gratitudine spontanea che sorgeva dinnanzi ai miracoli d’amore toccati, gustati, sperimentati. Una gratitudine che s’era incarnata per loro in una chiamata stupenda, quella di annunciare, come famiglia, attraverso la vita quotidiana vissuta nella precarietà più totale, l’amore infinito che aveva salvato, rigenerato e fatto fruttificare la propria vita. Felix era partito per gratitudine. Come tantissime famiglie del Cammino Neocatecumenale sono partite per le zone più scristianizzate del pianeta, nelle bidonville del Sud America, nelle periferie delle megalopoli o nelle città dell’Oriente che ancora non hanno conosciuto il Signore.
Il Giappone. Un altro mondo. Per tutti, ma non per un cristiano. Nel cuore di Cristo non vi sono barriere, non vi è divisione. Ogni uomo è suo fratello, e per lui non si tratta di uno slogan sentimentale. Per Cristo ogni terra è la sua terra, ogni Paese è il suo Paese. Ovunque vi sia un uomo c’è anche Cristo. Di Lui ha bisogno e Lui è lì, da sempre, e si manifesta a suo tempo in chi porta dentro di sè il Suo cuore pieno di compassione. Il cuore della Chiesa che ha lanciato i suoi figli sino agli estremi confini della terra. Per questo il Giappone era diventato il suo Paese. Così, naturalmente, per amore. La lingua impossibile aveva imparato a balbettarla lavorando come operaio, l’ultimo, piegando le spalle per tirar su una linea del treno ad Hiroshima, la prima città alla quale era stato inviato. La casa resa abitabile in combutta con la Provvidenza, che lo accompagnava spesso tra quanto i giapponesi suoi vicini avevano smesso di usare, mobili ed elettrodomestici ancora buoni per chi aveva come Principale Colui che da ricco s’era fatto povero. Con Lui s’era buttato negli uffici del Comune, tappezzati di segni oscuri, gli ideogrammi, che, per chi non è giapponese, sembrano messi lì apposta per impedirti di capire dove sei, che devi fare, a chi puoi rivolgerti. Le iscrizioni alle scuole dei pargoli, la luce, il telefono, il gas; le corse all’ospedale perchè quando hai tanti bambini è più il tempo che passi in macchina per tirarne qualcuno fuori dai guai che quello che puoi dedicare a riposarti. Le pietanze giapponesi, sapori e gusti e odori a distanze siderali da quelli familiari del suo “piso” lasciato a Madrid. E le “chiaccherate” con i medici, con i maestri dei ragazzi, con i vicini, con chiunque, fatte nei primi tempi come le farebbe un sordomuto, perchè quella è stata la figura che Felix e le altre famiglie in missione in Giappone hanno fatto per lungo tempo. Come un bambino ha imparato a dipendere totalmente da Dio, che di norma le difficoltà non è abituato a toglierle, ma, misteriosamente, è sempre lì a prenderti per mano e a condurtici dentro e a sperimentare che Lui esiste, che il Suo Figlio ha vinto la morte, che il Suo amore ha trapassato ogni muro, e che, in tutto, c’è speranza, perchè tutto concorre al bene per chi è amato da Lui. E così ogni difficoltà si trasformava nell’occasione per avvicinarsi a qualche giapponese, come un piccolo, come un apostolo senza sicurezze eppure felice, sereno, che proprio nella precarietà testimoniava la presenza vera e provvidente di Dio. In tutto simile ai giapponesi, Felix, percorrendo cammini e umiliazioni che solo il segreto del suo cuore ha conosciuto, ha vissuto ad Hiroshima anni fecondissimi nell’apparenza di una vita comunissima eppure straordinaria.
Il disegno divino lo ha poi condotto con la sua famiglia al nord del Giappone, Kofu per la precisione, giusto all’ombra del famoso Monte Fuji, icona classica del Paese, e lì, come api al miele, frotte di immigrati sudamericani si sono avvicinati alla sua casa. Paria di questa Nazione, molti senza neanche il visto, le famiglie dissestate, parentele intrecciate come labirinti, orari di lavoro da rabbrividire, il cuore spiaccicato sul denaro da accumulare in fretta per scappare dentro ad un’illusione, tanti immigrati hanno trovato in Felix e nella sua famiglia un approdo, l’unico. Tutto quel che sino ad allora il Signore gli aveva manifestato, l’amore sperimentato e vissuto durante una vita, la precarietà estrema dei suoi giorni, traboccante però della Provvidenza che non abbandona mai i suoi figli, tutto questo incarnato in Felix era diventato l’ancora di salvezza per tanti disperati che nessuno aveva neanche pensato d’aiutare. La sua casa, la sua famiglia erano diventati la loro Chiesa, l’utero capace di accoglierli nelle loro debolezze, con i loro peccati, offrendo loro una possibilità, l’unica vera e credibile, il potere di Gesù Cristo e del suo amore. Ma proprio lì, dove il suo apostolato sembrava dare i frutti più visibili, il Signore aveva pensato di stringerlo più forte a sè, di dare una svolta e di farlo assomigliare ancor più a Lui.
Kofu doveva diventare per Felix un Getsemani intriso di sangue e tradimento. I nostri occhi hanno visto il dolore nei suoi occhi al capire che per lui, e per la sua famiglia, in quel posto non v’era più posto. Gli uomini, si sa, possono capire e non capire e, quando al parroco che lo aveva chiamato lassù ne è succeduto un altro… beh, Felix, la sua famiglia, la missione avevano finito d’essere capiti. In un momento ha visto crollare tutto. Era quello il tempo del fallimento, dell’incomprensione, del rifiuto. Era il momento oscuro nel quale in Felix è apparso invece, luminoso, il volto del Servo di Yahwè. Per tacere di tutti gli altri, in altri momenti, in altri luoghi, segreti gelosi che si è portato in Cielo. Ma questa volta era tutto pubblico, doveva far fagotto, abbandonare quell’abbozzo di comunità che aveva visto nascere tra gli ultimi di questa Nazione, lasciare quei volti, quelle storie, quelle persone. Kofu come il Moria, e Felix ha preso su famiglia e bagagli, strappando i figli agli amici e alla scuola, ai loro stessi progetti di studio e lavoro, roba da spaccare le viscere, con una ferita nel petto ma anche, e soprattutto, con la certezza nel cuore che Dio non avrebbe abbandonato nessuno di loro. Così è partito per una nuova tappa, l’ultima, del suo pellegrinaggio missionario in Giappone.
Questa volta lo attendeva Takamatsu, e una missione nuova. La più dolorosa, la più feconda. Qualche tempo per ambientarsi, aiutare con zelo l’evangelizzazione nella Parrocchia della Cattedrale, e un dolore lancinante al petto a ricordargli che quel giorno era Lunedì Santo. Due anni fa, la corsa dal medico temendo un infarto, la scoperta che invece era un cancro, cattivo, aggressivo, e se lo stava portando via. Del suo corpo aveva risparmiato poco, s’era annidato ovunque, ma la sua anima quella no, era limpida, più limpida che mai. Come il suo cuore, che la sofferenza di Kofu aveva preparato e dilatato. Quel lunedì s’era dischiuso il frutto più bello, il miracolo più fecondo. Uno sguardo con Maite, l’intesa d’una vita, e “si rimane in Giappone, io muoio qui, per questa terra offro ogni sofferenza, per il Seminario che è in questa Diocesi, per il Vescovo, per i sacerdoti, per ogni giapponese, anche per i nemici, anche per tutti quelli che non comprendono quel che stiamo facendo, la nostra esperienza di fede. Le mie sofferenze per loro, e questo mio corpo che sia sepolto qui, che qui è dove il Signore mi ha portato, che qui è la mia terra che tanto ho amato”. E così anche Maite, nel cuore la decisione di proseguire la missione anche quando Felix non ci sarebbe stato più. E poi, insieme, con tenerezza grande, le decisioni comunicate ai figli e la loro spontanea adesione al pensiero di mamma e papà. Una famiglia in missione, tante vite, una sola vita donata a questa Nazione. Felix aveva così intrapreso il cammino più arduo della sua missione, una “missione nella missione”. Si, perchè in fondo, ed è cosa che ci riguarda tutti, tutto quanto era stato sino ad allora era la preparazione, una sorta d’allenamento, un ritiro pre-campionato, dove mettere in cascina fiato ed energie per la stagione agonistica. Ora Felix era nello stadio, nell’agone dell’ultima battaglia, quella per conservare la fede ed entrare nel Regno promesso.
La sua Patria diventava ora la corsia dell’ospedale, ora lo studio del medico, ora la stanza della chemio, e suoi fratelli i medici, le infermiere, ognuno che gli si avvicinasse, cristiano o no, spagnolo, giapponese o quel che fosse. Amici, conoscenti, e sconosciuti, tanti, tantissimi hanno pellegrinato al suo giaciglio. Una malattia per la vita, per la Gloria di Dio: il Vangelo al vivo, davanti ai nostri occhi. Un letto di dolore trasfigurato in un santuario dove era palpabile la presenza di Dio. Ecco, una vita che si era andata trasfigurando e rassomigliandosi sempre più al Signore, questa era stata la vita di Felix, ed ora, in queste sue ultime ore, tutto si stava davvero compiendo. Intorno v’era sofferenza, certo, ma incastonata in una pace che non poteva essere di questo mondo, e niente di più lontano dalla rassegnazione. La sofferenza di Felix, di Maite, dei suoi figli era lì a gridare dolcemente che la morte è vinta, la sofferenza, il dolore, questi mostri che ci riempiono di spavento erano lì, davanti agli occhi di tutti, come perle che brillavano nel candore d’una pace celeste.
Ora Felix stringeva con forza nuova e indistruttibile i suoi figli, i suoi dieci figli che intorno al suo letto lo impreziosivano come una corona di diamanti. Un re con il suo Re sul trono della Croce. Abbiamo tutti visto il Signore vivo in un corpo che scivolava verso la morte. La lotta c’è stata, non stiamo qui a scrivere un epitaffio impastato di miele. Sofferenze e combattimenti duri, tentazioni, perché il cancro, lo sappiamo, non è mica una passeggiata nei boschi. Ha camminato spesso sul crinale Felix, me lo ha detto più volte. Tutta la vita era stata un posare passo dopo passo i giorni su di un filo, da un lato il burrone, la possibilità concreta di cadere e sfracellarsi, ma Dio era stato sempre fedele. Mille volte aveva avuto misericordia. E anche ora Dio era fedele, fedele e misericordioso, ora che parlare non poteva, mangiare ancor di meno, l’accusatore era lì per farlo disperare, per strappargli quello che desiderava di più, la pace e la certezza dell’amore di Dio. Negli ultimi tempi gli ronzavano per la testa le parole di Teresina di Lisieux: che non era la morte che si portava via la vita quella che stava arrivando, ma la Vita, quella vera, che spazza via la morte. E desiderava ardentemente comprendere e vivere l’esperienza della piccola Teresa, quella di potersi sedere a mensa con i peccatori, segno d’un cuore che bramava, pieno di compassione, la salvezza di ogni uomo.
E Maria era già in viaggio mentre si affacciava nella notte il suo giorno, quello in cui fece scendere candidi fiocchi ad imbiancare un colle di Roma. Felix, sfinito, cercava l’aria per posare gli ultimi passi che lo separavano dal Cielo, respiri lenti e affannati che sembravano adagiati sulle nostre parole pregate. Maite a stringergli la mano, i suoi figli come virgulti d’ulivo intorno a lui, quasi a proteggerlo e ad accompagnarlo nell’ultimo viaggio, e i fratelli in missione con lui lì accanto, ed era una liturgia. Preghiere, un rosario, un altro, e un’Ave Maria, l’ultima, un Amen, l’ultimo, a raccogliere l’anima di Felix che saliva al Cielo. E’ passata da poco mezzanotte, è il 5 di agosto del 2005, è la Madonna della neve, la Vergine Maria ha steso il suo manto, ha preso con Lei il suo fiocco di neve, lo porta dal Suo Figlio, il premio promesso. Un miracolo, un volto di pace dopo tanta fatica, e lì, dove Felix ha posato il suo corpo, come la neve di tanti secoli fa ha segnato il luogo di una chiesa, qui, in Giappone, sorgerà una chiesa, ne siamo certi, una comunità viva che dia gloria a Dio e che testimoni, per tutti, l’amore infinito di Dio che abbiamo visto brillare nel sorriso di Felix.
don Antonello Iapicca
(tratto dal blog “I segni dei tempi”)